giovedì 17 settembre 2009

Continuavo a guardare fuori

Mi chiedevo che nome dare a questo blog. Ho scelto di ripetere il titolo che tempo fa ho scelto di dare ad un piccolo libro di racconti che ho scritto e autopubblicato con quelli della ARTeFUMETTO di Monfalcone (ne parlerò più avanti, sia del libro che della ARTeFUMETTO, comunque trovate la copertina del libro e il link alla ARTeFUMETTO nella colonna principale).
Inanzitutto mi piace veramente "guardare fuori", soprattutto perchè in fondo ciò implica che tu te ne stai dentro qualcosa, la tua vita, i tuoi pensieri, ma che comunque presti attenzione a ciò che ti sta intorno, spesso andando ad interagire con esso.

Poi l'idea di "continuare" a farlo mi garantisce un'idea di non passività prolungata nel corso del tempo: una ricerca continua, che è quindi impegno personale e dunque crescita.
Il "continuavo", con il verbo declinato al passato, calza perfettamente con l'idea che ho di contemporaneità e della quale sono in parte debitore alla lettura di un libro di un autore che non amo molto, ma che in questo caso ha saputo coinvolgermi con le sue riflessioni. Giorgio Agamben, nel libercolo Che cos'è il contemporaneo?, editato dalle "Edizioni nottetempo" di Roma nella collana i sassi, scrive: ..il contemporaneo non è soltanto colui che, percependo il buio del presente, ne afferra l'inesitabile luce; è anche colui che, dividendo e interpolando il tempo, è in grado di trasformarlo e di metterlo in relazione con gli altri tempi, di leggerne in modo inedito la storia, di "citarla"secondo una necessità che non proviene in alcun modo dal suo arbitrio, ma da un'esigenza a cui egli non può non rispondere.
Sì non vi sbagliate sono pippe sacrosante. Ma la cosa mi ha colpito e io nei panni del "contemporaneo" di turno ho creduto di proporre una buona lettura delle cose che mi circondano attraverso una raccolta non sistematica di ciò che mi ha interessato e passato al fianco negli anni scorsi, citando appunto e declinando la mia ricerca all'imperfetto, "continuavo" appunto. Inoltre l'"imperfezione" mi piace di per sè. Diciamo che si addice al contemporaneo e alla caratteristica che più di tutte gli si avvicina, la "complessità".
Non sono capace di parlarne in maniera filosofica, anzi non credo proprio di saperne parlare in genere. Poiché però sono anche un architetto, credo di poter tradurre il tutto con quest'immagine qui sotto.




E' una foto scattata a Venezia nell'area del convento di Santa Maria dei Servi a Canareggio che oggi ospita l'ostello di Santa Fosca e la relativa casa studentesca. E' quello di cui stiamo parlando forse un'infilata prospettica del nuovo verso l'antico? Un ponte offerto da ciò che nasce verso ciò che decade? E' in realtà solo una proposta per una ricerca ulteriore.
Quando penso a quanto detto qui sopra mi ritorna alla mente un pensiero di quello che credo essere forse lo scrittore che più di tutti sento vicino e caro: Italo Calvino. Banale forse, ma non sono qui per stupire. Calvino scrive nella presentazione al suo testo Una pietra sopra del 1980: La società si manifesta come collasso, come frana, come cancrena (o, nelle sue apparenze meno catastrofiche, come vita alla giornata); e la letteratura sopravvive come dispersa nelle crepe e nelle sconessure, come coscienza che nessun crollo sarà tanto definitivo da escludere altri crolli. (...) Non per questo si scoraggia l'applicazione a cercar di comprendere e indicare e comporre, ma prende via via più rilievo un aspetto che a ben vedere era presente fin da principio: il senso del complicato e del molteplice e del relativo e dello sfaccettato che determina un'attitudine di perplessità sistematica.
Sì. Sono perplesso, "guardo fuori" e attorno e sono perplesso. Dubito. E questo alimenta altra curiosità. Di certo non invita all'arrendevolezza.