martedì 29 settembre 2009

Vizi capitali n.3: Superbia

Mi sono reso conto della mia superbia senza remore, girando per le gallerie dedicate all'arte contemporanea.
Se superbia può identificarsi come un atteggiamento manifesto di superiorità espresso verso gli altri o qualcosa, io penso di credermi superiore allorché guardo con assoluta indifferenza il 90% delle opere di cosidetta arte contemporanea esposte in giro per il mondo.

La mia superbia sta tutta nell'aver giudicato in ogni occasione cento milioni di miliardi di volte migliore ogni opera di Piero della Francesca io abbia avuto modo di aver visto nella mia vita di visitatore assiduo di musei, rispetto qualunque della miriade di installazioni, performance, video (e chi ne ha più ne metta) mi sia stata proposta.

La tragedia è che non penso in quei casi nemmeno un minuto ai miei limiti, ma riesco a vedere soltanto i limiti degli altri.

Appare tutte le sere sulla GAM di Torino la scritta luminosa: "ALL ART HAS BEEN CONTEMPORARY" (Tutta l'arte è stata contemporanea), opera di Maurizio Nannucci che ha scovato, pur nella banalità della cosa, un'espressione calzante. Ma ciò non esclude il giudizio. Mi è stato più volte ripetuto che la gente andrebbe educata all'arte contemporanea, affinché possa fruirla meglio, oppure possa assimilarne i contenuti. Io credo che tale ostinato processo di educazione risulti il limite più grande di quest'arte "dell'epoca nostra", poiché non credo che il rapporto con l'opera d'arte si costituisca di codici assimilabili, ma soprattutto di condivisione emotiva tra fruitore e oggetto. Ne va della libertà del giudizio. Ne va della serenità dell'espressione di un pensiero. Solo il giudizio che non si crede giudicato è veramente tale, credo.

E poi. Se l'artista di oggi può permettersi di guardare qualcosa, di sceglierlo, dandogli un significato e a qualcuno ciò appare abbastanza, bene anch'io l'ho fatto cento, mille volte. Ho ad esempio camminato nel bosco, visto un segno rosso su un albero e un seghetto a terra. Ho preso quel seghetto e appeso ad un ramo. Il segno rosso e il seghetto uno accanto all'altro hanno creato un qualcosa che mi stimolava un senso di morbosità, di qualcosa di malato: richiamavano un'atrocità commessa senza che io sapessi quale. Nel fotografare la cosa, sono stato artista o sono stato semplicemente uomo curioso con le sue paure recondite??

Non so. Ciò che so è che la cosa non mi appariva né allora né oggi all'altezza della Flagellazione di Piero della Francesca esposta al Palazzo Ducale di Urbino.


La mia superbia è un dono a volte, che ringrazio di avere.