domenica 11 ottobre 2009

Vizi capitali n.4: Accidia

"Sempre avuto solo desideri. Nessuna strategia per realizzarli. Nessun impegno convogliato. Nessuna insistenza puntuta. Immagino sia lì la differenza tra desiderare e volere. Agire per ottenere." Ho letto queste frasi di Makkox nel suo fumetto "Epifanie del giovine assassino" pubblicato sul n.5 della rivista Animals. Mi sembra spieghino bene il fare accidioso, l'indolenza che lo contraddistingue.
Personalmente mi scopro accidioso proprio quando non riesco a convogliare il fare. Mi pare inoltre che tutto il mondo intellettuale contemporaneo viva questa mancanza di strategia nel realizzare le cose. La mia curiosità mi spinge spesso a frequentare incontri con scrittori, filosofi ecc., ma credo che quelle occasioni mi confermino ogni volta di più una sensazione di tacita sconfitta: sconfitta della capacità di quelli di incidere concretamente nelle cose che vanno richiamando. Ormai sembra di assistere solo ad un continuo declamare intorno alla nostra società caduta in disgrazia, invocando la mancanza di armonia, di equilibrio. Mi pare questo fare celare alla fine sempre un lavaggio di mani alla Ponzio Pilato. Il problema è capire se queste persone, che credono di poter cambiare con le proprie parole (sempre e solo parole) situazioni complesse spesso a loro estranee, lo facciano per convinzione o per strumentale convenienza.
Il tema della diversità è forse quello più difficile da affrontare in tale senso. Leggevo un'intervista a Dacia Maraini, scrittrice che culturalmente stimo, dove la stessa alla domanda del cosa fosse la follia, rispondeva : "E' una convenzione. I confini tra malattia e sanità sono estremamente fragili e vanno visti con più elasticità, mentre la gente tende a dividere le due categorie, mette barriere, si terrorizza, molti di questi quando tornano a casa trovano che la gente ha paura di loro. Invece sono persone che hanno ossessioni, depressioni. La malattia mentale appartiene a tutti e in qualche modo contiene anche creatività e allegria".
Nel 1998 ho provato a confrontarmi con questa diversità. Ho accettato di insegnare "Storia dell'arte" ad un gruppo di persone sofferenti di problematicità diverse, all'interno di un percorso formativo all'integrazione di quelli nel campo del restauro del mobile d'arte. E' stata un'esperienza durissima. Mi piacerebbe dire bellissima, ma mi viene solo durissima. Nel gruppo vi erano ragazzi dai 18 ai 30 anni, alcuni alcolisti in cura, alcuni eroinomani in cura, due schizzofrenici, alcuni con malattie mentali di difficile declinazione. Ho passato l'inferno. Li ho portati all'esame, ho vinto la mia battaglia personale. Ma oggi a dieci anni di distanza non ripeterei per niente al mondo quell'esperienza, per egoismo forse o per autotutela, proprio perché il confine è labile e quei ragazzi alla fine avevano mondi molto più estesi dei miei, che mi facevano spesso paura. Mi scuso, ma difronte alla diversità sono diventato indolente, ho perso le strategie. Di certo non andrei in giro a parlarne come di una convenzione, nè richiamerei l'allegria quando ricordo quell'esperienza. Io credo che a volte l'accidia sia uno strumento utile, per far si che di certe cose si occupi chi ha il pelo sullo stomaco, chi sa cosa fare, chi ha un vissuto intorno a quel mondo. Non credo che siano cose da affrontare a parole, specie se pagati a qualche Festival in giro per l'Italia o nel mondo.
Accidioso per scelta quindi. Mi scuso con la società intera.