mercoledì 16 dicembre 2009

Specie autoctone

Utilizzo alcuni pensieri dell'Editore Franco Maria Ricci, ascoltati durante un'intervista per il programma televisivo ArteNEWS su Rai 3 il sabato mattino. Ricci si dice appassionato dei labirinti. Ne ha realizzato uno nella sua enorme proprietà nelle campagne vicino Parma. Per il labirinto ha utilizzato la canna di bambù. Dice che è perfetta perché cresce alta, definendo rapidamente i percorsi. Inoltre, dice Ricci, all'interno di un discorso ecologista più ampio, le canne assorbono tutta l'anidride carbonica che trovano attorno, garantendo una sorta di ossigenazione e purificazione del territorio. Crescono veloci, dice Ricci, e si espandono, invadendo il territorio. Gli piace questa idea, a Ricci, di espansione/invasione purificatrice da parte di una specie non autoctona. Sottolinea poi che questo paese, l'Italia, dalle tradizioni e dalla cultura, anche alimentare, precisata come mediterranea, sia piena di presenze alimentari non autoctone, proprio quelle da noi preferite e che qualificano la nostra cucina, appunto, come mediterranea: i pomodori, il granturco oltre alle patate. Forse autoctone erano in origine le sole ghiande, dice Ricci.
Ora, questo discorso mi porta alla testa il testo di una canzone degli Almamegretta, "Figli di Annibale", dove si sottolinea come la presenza prolungata dell'africano Annibale e della sua stirpe contaminata che da lui probabilmente derivò, dopo la sua discesa attraverso le Alpi, ci qualifica italiani doc, come la nostra cucina si qualifica mediterranea doc; ovvero ci potrebbe qualificare come di derivazione africana al pari di come la nostra cucina si potrebbe qualificare di derivazione prevalentemente non autoctona. Questa correlazione divertente di pensieri, nata così, il sabato mattina, senza verifiche di quanto vado dicendo e sostenendo, mi ha portato a guardare fuori dalla finestra e vedere i molti bengalesi e senegalesi che passeggiano per le strade della mia città con un senso di maggior condivisione culturale, non riuscendo idealmente infine più a rinunciare a loro come non so più rinunciare agli spaghetti al pomodoro. Che questa invasione umana non autoctona non si riveli alfine anch'essa purificatrice delle pochezze e bassezze culturali che spesso sono insite nelle nostre insistite velleità di isolamento provinciale?
(nella foto i muri di Belleville a Parigi)