sabato 3 aprile 2010

Date

Nel diario/memoria Il Mestiere / di/ Vivere/ di/ Cesare Pavese, scritto tra il 1935 e il 1950, l'autore alla data 3 aprile 1939 scrive; "Ciascuno ha la filosofia delle proprie attitudini". Tra le riflessioni, pensieri, aneddoti lasciati da Pavese nei fogli manoscritti trovati dopo la sua morte e che sono stati raccolti e pubblicate postumi da Einaudi, questa mi ha sempre colpito molto. E' scritta dopo una nota lasciata in data 29 marzo e poi fino alla data del 26 aprile Pavese non appuntò più nulla. Non ho mai dato un significato preciso alla frase di per sé, ma mi è restata in testa come una cantilena che ritorna ogni tanto. Mi pareva allora, quando la lessi la prima volta, un invito dell'autore a superare visioni e interpretazioni del mondo condotte ai massimi sistemi, per ridare all'individuo una propria dignità per ciò che è, proprio in relazione alle sue caratteristiche intrinseche. L'ho sempre considerato un invito a superare ideologie e schematismi per riconsiderare le cose nella specificità che è loro propria. O forse l'interpretazione giusta non è questa? Ma che importa!
Il gesto estremo di Pavese nel 1950, quando scelse di togliersi la vita, ha consentito interpretazioni plurime della sua contradditoria personalità. Giulio Einaudi, ricorda Ernesto Ferrero nel suo libro I migliori anni della nostra vita (Feltrinelli, 2005) definì Pavese "uomo dei dubbi", non accettando, infondo, da uomo pragmatico e "di certezze", anche politiche, incline alla "felicità" qual'era, la complessità d'autore, ma anche umana del primo. Scrive Ferrero in merito alla sua scontrosità un pò capricciosa e al contempo strumentale ad ottenere dei risultati concreti: "Pavese era un maestro di relazioni pubbliche che non si curava di tenere". E ancora: " Il dramma di Pavese è tutto qui, volersi protagonista di uno scandalo vero e condannarsi a fare il monaco amanuense nel monastero di via Biancamano (dove aveva sede la casa editrice torinese). Alla fine, per stupire tutti, mette fra sè e gli altri la distanza incolmabile di una morte cercata e voluta, estrema punizione agli amici distratti... "Chi non si salva da sé non lo salva nessuno" aveva scritto nel diario. Meno che mai lo salvano i libri. i libri non gli bastarono: erano il pallido surrogato di quello che lui avrebbe voluto essere".
Mi piace ricordare ancora un pensiero di Italo Calvino, ripreso sempre da Ferrero: "Esiste una storia della felicità di Pavese, d'una felicità nel cuore della tristezza, d'una felicità che nasce con la stessa spinta dell'approfondirsi del dolore, fin che il divario è tanto forte che il faticoso equilibrio si spezza".
E' una questione di attitudine la felicità come la malinconia, senza un meglio o un peggio, senza regole sufficienti e tanto meno necessarie. E', quello umano, un equilibrio instabile.