domenica 11 settembre 2011

Gian Alfonso Pacinotti in arte Gipi

Sapevo che ci sarei cascato. Non sapevo quando, ma prima o poi sapevo sarebbe successo. Di dedicare un post a GIPI, al suo lavoro, a ricordare l'innamoramento che provai e provo per il suo lavoro. Anzi, forse ancora di più l'invidia che mi provoca la sua capacità di raccontare storie. E' questa la sua dote maggiore, unita ad una tenacia nel proseguire le proprie iniziative artistiche, che lo porta a volte a cadere in vicoli retorici, ma anche a manifestazioni assolute della propria capacità. Gianni porta con sé il "genio"; è uno dei pochi che mi sia dato conoscere ad averlo in dote. E' una dote naturale certo, ma anche la conclusione di percorsi di ricerca inarrestabili, condotti nel segno del "fare". Gianni prima di tutto "fa", la sua innata curiosità lo porta a mettersi in gioco, a sacrificare il proprio fisico (gracile) e a dedicarsi alla propria arte, malgrado tutto. E' questa "fatica" che mi affascina di lui e che mi fa essere un suo fan, un estimatore; che mi fa e che mi farà guardare al suo lavoro sempre con benevolenza e difenderlo malgrado "tutto". Oggi Gianni ha finito un suo film, dal titolo L'ultimo terrestre; naturalmente l'ha presentato alla 68. Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia, in concorso, e non al cinemino provinciale di Pisa. Gianni fa così. Igor Tuveri, responsabile della Coconino Press ha ad un certo punto creduto in lui come fumettista (era il 2002, mi pare?); ha saputo consigliarlo o semplicemente mostrargli delle strade; l'ha aiutato ad elevarsi dalla "fuffa" dei tanti artistoidi dell'underground fumettistico nazionale e internazionale. Gipi ha saputo volare quindi da solo, guardare oltre. Dalla Coconino alla Fandango, a Procacci, che da produttore di "razza", ha capito di dovergli dare fiducia. Gianni ha vinto dopo la presentazione del suo film a Venezia, il Premio Fondazione Mimmo Rotella; è stato segnalato al Premio Pasinetti, come migliore opera prima; ha vinto il premio Arca Cinema Giovani. Il film è stato presentato solo tre giorni fa, l'8 settembre. Oggi che è l'anniversario dell'11 settembre, un evento che ha sconvolto il mondo, mi viene voglia di parlare di GIPI che ha scosso in meno di un decennio il piccolo mondo dell'arte italiana. E il buffo è che molti in Italia non lo sanno, molti se ne stanno là a fare finta che non sia vero. Cavoli loro. Amari per giunta. Io, che continuo a guardare fuori, ho visto per la prima volta il lavoro di Gianni in mostra a Treviso. Erano le tavole di quello che sarebbe stato Esterno notte. Non le capivo nel disegno, da tanto incredibili erano. Da lì, la voglia di presentare con ARTeFUMETTO, al tempo appena nata, il suo lavoro in zona Monfalcone. Lo facemmo a Cormòns, ad una fiera del libro, nel dicembre del 2003. C'erano lui e Marco Corona. A quell'incontro disegnarono praticamente solo per noi: non se li filava nessuno. Gianni disegnava sulle tovagliette dei tavoli al ristorante, su quelle della fiera, disegnava con tutto e di tutto. Diceva che l'aiutava a mantenersi sveglio durante la digestione. Allora presentava Esterno notte, e poi niente fu come prima. Grazie a quell'incontro, dopo Appunti per una storia di guerra (che vinse ad Angouléme), e dopo i premi a S. (una delle storie più fantastiche che ho letto, dopo Pompeo di Andrea Pazienza, e lo dico senza problemi, avendolo anche scritto più tardi su di un catalogo), riuscimmo a portare ancora Gianni a Monfalcone, nel 2007 (una nota: la inaugurammo l'8 settembre!), in occasione di una mostra dal titolo "Gipi. La vita tra le pagine", organizzata ancora da ARTeFUMETTO presso la Galleria d'Arte Contemporanea della città. In quell'occasione pubblicammo un libretto, che resta ad oggi il primo e unico (incredibile a dirsi, vista la quantità di materiale disegnato dall'autore) catalogo ufficiale dell'arte di Gianni (chi lo desidera può scrivermi, ne abbiamo ancora delle copie). Per allestire la mostra mi arrivarono via posta, da Parigi, da Barcellona, da Milano, a casa circa ducento delle sue tavole e disegni. Le avevo tutte sul pavimento della mia stanza, distese per sceglierle e mi pareva una cosa da brivido, per la responsabilità nel averle sotto tutela specialmente. Gianni arrivò a Monfalcone da Parigi, dove viveva allora, stanchissimo e sfinito dal suo giro infinito, dietro le presentazioni dei suoi libri. Alessia lo portò a comprare una maglietta nuova; io un telefonino nuovo. Mangiammo dei calamari fritti a Sistiana, di fronte al mare, e ancora oggi deve venire a prendersi il dolce. Fu per tutti noi, e credo anche per lui, quell'occasione una specie di situazione "fantasma", che ancora oggi non mi rendo conto bene di avere fatto. Durante un'intervista in diretta a RadioRAI, per presentare la mostra, feci a Gianni una domanda, in collegamento telefonico, mentre lui, allora, stava al Lido ,alla mostra del cinema di Venezia, dove un produttore voleva trasporre in film Appunti per una storia di guerra, cosa che poi non si fece. Domandai: "Ma ora che sei a Parigi, come puoi disegnare la tua campagna toscana, i "colori" della provincia?" Mi confidò poi a margine che se lo stava chiedendo e che quei paesaggi gli mancavano. Lasciò più tardi Parigi e tornò in Toscana. Lì naque LMVDM e a seguire poi l'intervista a Le invasioni barbariche di Daria Bignardi (con tutta la bagarre mediatica che ne seguì), le performance musicali/teatrali de La mia vita disegnata male; la trasposizione di S. con il gruppo I sacchi di sabbia (che ho anche tentato di portare a Monfalcone); la musica prodotta in casa; il fumetto sempre più lontano e infine il film. Un film tratto da un fumetto non suo (sembra incredibile, per uno che racconta benissimo), ma di Giacomo Monti. Gianni scelse quel fumetto bellissimo. A Gorizia, nel 2010, durante un incontro, ci confidò che ne aveva comprato i diritti, che ci stava lavorando. Oggi credo di aver capito quella scelta. La scelta di mantenere le distanze, di non mettersi a nudo dinanzi ad un pubblico più vasto (quello del cinema) di quello ridotto (e anche asfittico) del fumetto: lui che mette sempre tanto di sé nel suo lavoro, lui che probabilmente ora starà pensando a qualche film, tratto magari da una storia nuova, che andrà a sceneggiare, disegnare, musicare, portare a teatro, ecc. E non perché è commercialmente utile (non solo almeno), ma perché ciò gli consentirà di praticare strade nuove, tragitti inesplorati di una ricerca infinita. Vi regalo ora una foto di Gianni sul red carpet di Venezia. Mi scorge (credo) con la coda dell'occhio, mentre sto nel corridoio che porta all'interno della Sala Grande del Lido, dietro i fotografi ufficiali, mentre gli scatto una foto anch'io, verso le 17.30 dell'8 settembre, prima della "prima" del suo film e dell'applauso infinito che ne è seguito in sala (un film, il suo, forse non completo, ma di certo sociologicamente utile e significativo e un'altro esempio di come si possa raccontare bene indipendentemente dal linguaggio usato). Gianni dal red carpet sembra farmi una smorfia che è anche un sorriso. Io, Alessia e Fabio eravamo là per goderci la sua emozione, che infatti era grandissima.