domenica 16 marzo 2014

Piano Piano, pezzo per pezzo


Le passioni impongono prese di posizione violente, anche se sanno aspettare il loro momento per alzare la mano e chiedere un posto in prima fila nel tuo cervello. E' un cambio d'abito, anche se i colori non sono sempre graduati; non è l'arancio che segue il rosso, bensì il blu che fa a pugni con il giallo. Eravamo gorni fa a Bologna per rinvigorire la nostra memoria fumettistica con gli amici di ARTeFUMETTO e ieri ci siamo ritrovati a Padova, tutto il nucleo fondatore dell'Associazione ETRA, per ascoltare la lectio magistralis di Renzo Piano ed assistere all'inaugurazione della sua mostra, a Palazzo della Ragione, dal titolo Renzo Piano Building Workshop. Pezzo per Pezzo. Piano ha lasciato spazio a tutto il suo pensiero di architetto costruttore. Ha detto, durante la lectio, cose importanti, anticipando, come una guida sul proprio lavoro, quello che poi si sarebbe ritrovato in mostra. In brevità alcuni passaggi centrali del suo discorso, riassunti e parafrasati per come mi è possibile ora ricordarli: "Ho passato tutta la vita a tornare a casa", "Nessuno di noi (lui e i suoi collaboratori) ha mai fatto la contabilità di chi aveva le idee", "Non so se ha senso mostrare l'architettura in mostra, ma ha senso far vedere il travaglio, la fatica, e i pentimenti, che sono poi le cose non finite o ancora da concludersi", "Nell'esposizione a Palazzo della Ragione la mostra si confronta con un museo di scienze naturali, testimoniato dai dipinti alle pareti, dai materiali; l'abbiamo pensato (l'allestimento) come una sala di lettura, con trentadue tavoli per altrettanti progetti, ciascuno con otto sedie attorno, per sottolineare la coralità del lavoro; una sala di lettura di una biblioteca dell'architettura; dove tutto è mobile, per non disturbare, anche i tavoli sulle ruote", "Sono figlio di un costruttore, che per la teoria evolutiva doveva essere costruttore; invece chiesi di essere architetto, figura che contiene il costruttore, ma anche il militante, con la sua ansia per il bello e con la sua ansia per il sociale", "Estetica ed etica è un tutt'uno: è la fermezza del proprio pensiero a consentirne la compenetrazione", "L'idea ha coerenza, ma non stile; lo stile è una gabbia dorata, che apre solo all'accademia", "Essere architetti è sconfinare nell'avventura del costruire; sconfini invece nell'accademia se ti consumi nella ricerca della sola espressione e nella ricerca del linguaggio", "Smettiamola di fare parcheggi, ci resteranno più soldi da investire nel trasporto pubblico", "Il Mediterraneo è il mio local. Esso ha senso se lo vivi con la volontà di scoperta, con il desiderio della partenza. Questo local, se vissuto intensamente, diventa un super-local, che ti garantisce un carattere, una originalità. Io lo ho scoperto a sessant'anni, perchè essere troppo local da giovani è un limite, e solo a quest'età capisci come ti abbia accompagnato per tutta la vita". Ecco, questa la lezione di Piano. Il Renzo Piano che ti aspetti. Lo abbiamo visto più tardi camminare, nella sala di Palazzo della Ragione, accompagnato da uno stuolo di ammiratori, come un santo, come una star cinematografica. Molti hanno detto, "ma non è mica una star!", ma lo dicevano senza pensare alla passione che muove la gente.
Alcune sue collaboratrici hanno chiesto di passare tra la folla, dicendo "sono una collaboratrice del senatore!", non dell'architetto, del senatore; e infatti l'area attorno a Piazza delle Erbe era piena di agenti in divisa a presidiare la sicurezza del posto. Sono riuscito ad avvicinare Piano e gli ho chiesto un autografo (quel tracciato da elettrogramma che non esplicita il nome, ma una attenzione alle cose ancora da farsi, al poco tempo a disposizione). Ho scambiato due chiacchiere (due) con Piano, che è stato contento gli chiedessi l'autografo sotto quello di Richard Rogers, anch'egli presente in mostra, e che noi di ETRA avevamo incontrato poco prima per uno scambio sull'architettura italiana (alla richiesta di che cosa pensasse dell'architettura italiana, Rogers si è trincerato dietro un laconico "meno male che c'è Piano!").
Finito l'incontro mi sono dedicato alla mostra, bellissima, dove tutto vola, appeso nella sala, e dove tutto ritorna; è lì che capisci molto del Piano-pensiero: che forse quel suo non-stile è la coerenza di cui parlava durante la lectio; che dietro quei rapidi schizzi in pennarello verde che definiscono un andamento, una forma in embrione, vi è ogni volta la sfida di trovare una soluzione; l'avventura è tutta lì, nel trovare nella soluzione tecnologica una risposta ad un pensiero sfuggevole, che poi si fa volontà, e infine consapevolezza. E tutto avviene così, un segno dopo l'altro, piano piano e pezzo dopo pezzo.

domenica 2 marzo 2014

Valvoline Motorcomics. autocelebrazione di una centralità

Quando Igor Tuveri, in arte Igort,  fondò ad inizio anni 2000 la sua Coconino Press, pubblicando da prima il volume Sinatra nella Collana Maschera Nera, in attesa di portare a compimento l'altra sua opera 5 il numero perfetto, si ebbe la sensazione che qualcosa stava infine mutando. Ancora Bologna, sempre Bologna, al centro del fumetto ideato e immaginato. Ma Igort si trasferisce a Parigi, immaginando per Coconino una specie di redazione doppia. Igort sapeva che il fumetto era là che andava valutato, nel bacino residenzial-fumettistico per eccellenza, quello della metropoli multiculturale francese. Nasce il rilancio italiano del concetto di letteratura disegnata promosso da Hugo Pratt fin dagli anni Sessanta; si ridiscute ancora una volta l'annoso falso dilemma dell'opportunità di una scelta tra fumetto popolare e d'autore. Si sposta il fumetto dall'edicola alla libreria specializzata, all'inizio, e poi di genere, cercando e trovando nuovi mercati. Si cade, nell'annoso errore di sentirsi inferiori culturalmente e di dover inseguire qualcosa o qualcuno: l'ultimo capitolo è la necessità di pubblicizzare un volume come Unastoria di GIPI come meritevole in quanto trasportabile nei criteri di valutazione della giuria del premio letterario Strega. E per molti si determina una cesura non sanabile paragonabile a quella tra letteratura per l'infanzia e letteratura: appare dal profondo delle coscienze il termine di graphic-novel. Dalle strategie degli anni Ottanta, un nuovo marchio mediatico per comunicare un prodotto.
Ma tutto questo  trova il suo inizio proprio negli anni Ottanta, con la nascita di due collettivi: uno più inconsapevole e al contempo sociologicamente collocato nel suo tempo, quello di Cannibale (1977) e Frigidaire (1980), e l'altro, molto consapevole e raccoglitore di nuove definizioni sociologiche, del Pinguino (1980) e quindi di Valvoline Motorcomics (1983), evolutosi poi nella Dolce vita (1987). Sul suo sito online Coconino Press si presenta proprio richiamando l'esperienza Valvoline: "Il programma, assecondato dal nume tutelare Oreste Del Buono che pubblicò i lavori di questi artisti (n.d.a. Igort, Jori, Carpinteri, Mattotti, Brolli, Kramsky, ma anche Burns, Mattioli e Baldazzini) sulle riviste Linus e Alter, era produrre un fumetto d'avanguardia e d'autore, capace di raccontare storie adulte e innovativo nella grafica, lontano dalla serialità e dai cliché della produzione di comics per ragazzi, capace di dialogare con altri linguaggi espressivi come arte, cinema, musica". Fu in effetti così, perchè il programma fumettistico si fece contaminare dalla società, dalle mode, e viceversa le contaminò, partendo dalle genialità di Stefano Tamburini e di Andrea Pazienza, superandone in parte la visione prevalentemente realistica (nel senso della volontà di essere specchio della realtà: la politica, la droga), per declinare la propria ricerca sull'approccio intimista/poetico delle storie e sulla centralità emozionale del disegno. Nel 1984, su Valvoline - Alter Alter, esce Fuochi di Lorenzo Mattotti e il fumetto italiano non fu più lo stesso.
Ieri, 01 marzo 2014, alla Fondazione del Monte, di via delle Donzelle, 2 a Bologna si inaugura la mostra Valvoline Story. Brolli, Burns, Carpinteri, Igort, Jori, Kramsky, Mattioli, Mattotti. I primi trent'anni dell'avanguardia a fumetti. Il titolo è di quelli che fa incazzare, perchè definisce una centralità avanguardistica nel senso sopra enunciato, che nessuno può mettere in discussione, ma che esclude mondi variegati e plurimi di persone che hanno portato il fumetto al 1980, prima che qualcuno ne raccogliesse le redini e favorisse un ulteriore scarto in avanti, ma all'interno di un processo che era "fantastico" già prima, specie se valutato a livello internazionale. Ok, "basta fiction, ora si racconta la vita", però.... Alle 17.30 circa di sabato 01 marzo, mentre a Bologna, lungo via dell'Indipendenza, scorre un corteo di manifestanti incazzati, che blocca il traffico di mezza città e che pretende giustamente un' Europa senza confini, e mentre a Palazzo Fava, a pochi metri da via delle Donzelle, una fila interminabile aspetta di vedere "dal vivo" la madonna pagana di Vermeer (La ragazza con l'orecchino di perla, dipinto inarrivabile ora al centro di una campagna mediatica senza fine), una componente organizzata di ARTeFUMETTO (R., F. e A.) aspetta di entrare all'inaugurazione della mostra Valvoline Story. E' un evento fumettistico, Igort l'ha voluta per celebrare il proprio ruolo all'interno di una cultura e quando alle 18.00 infine si entra, le persone presenti sono un numero tale da dargli ragione. Dentro, dopo una mezz'ora, puoi incontrare tutti coloro che un appassionato dell'arte sequenziale (giusto per mettere lì quel termine che Will Eisner ci regalò e che offre oggi giusto merito al fumetto in genere) avrebbe voluto. Ad un banco disegnano insieme (da sinistra a destra nella foto del nostro inviato) Carpinteri, Igort, Mattotti, Jori, Brolli e Burns.
Nelle sale puoi incontrare e chiacchierare con Massimo Mattioli e Massimo Giacon (nella foto), Vittorio Giardino, Giuseppe Palumbo, Vanna Vinci, Francesca Ghermandi, Marco Nizzoli e vai, vai, vai... E' Bologna, una delle capitali del fumetto, dove è nata metà dela cultura che mi appartiene, nel suo bene e nel suo male. Massimo Mattioli, al quale ARTeFUMETTO si inchina, mi dice che non erano loro (i cannibali) ad essere eccezionali, ma erano quegli anni (il famigerato 1977) ad avere una spinta in più, era la realtà dei luoghi e del tempi.
Lo saluto Mattioli e valuto i suoi settanta anni e passa dietro delle movenze da punk. Capisco che siamo di nuovo ad una svolta, che come succede sempre nei cicli e controcicli della Storia siamo (di nuovo) alla fase di stanca, che richiede (di nuovo) un forte e immenso spunto underground, per ricominciare tutto, per salire ancora e quindi inevitabilmente scendere.